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al testo di Amina Narimi
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Sono una partoriente colma di affanni e un cervo che sbuca fuori dal bosco, trasparente, che si rannicchia nella mano e muore nel tuo cuore
si aprirà quella magia così che il vento, dove s'innalza santissimo il reale, canti, rompendo le acque al tuo sguardo, dove incontrarsi, correndo all'alba di pasqua.
-Nella casa chiusa come un grembo c'è una chiarezza ulteriore, che viene, che ci riporta indietro confondenti l'energia di un altrove, l'umido spessore di una vita che nasce sognata. - Perciò, giravo intorno al pozzo senza posa, nascondendomi nei cerchi come al tempio, finchè il sentiero ripetuto sotto i piedi esplodesse nella strada non percorsa dove il grido perfetto di ogni stella ha la stessa posizione delle braccia a farsi largo tra gli indugi delle mani.
Per un nonnulla è ancora vita il tremore di un miracolo, ha la stessa grazia del tuo sangue nelle vene, ogni volta che sorrido in pace col silenzio
ti ricordi? Il vuoto del linguaggio è la ricchezza nostra. Non è mai tutto qui incolmabile. Quanto vorrei, scrutando fin là, lasciarti una traccia poi subito svanire
Come una sposa che sogna io ti parlo. Questa è la mia vita e tutto si fonde con qualcosa qualcuno che è entrato e continua a restare dentro. Nello squilibrio cieco, nel mio campo libero c'è l'inizio di un volo o un discendere improvviso con un canto, a volte un lamento, o un alleluia, ma l'amore è chiaro di continuo, prima di venire alla luce. Rimango ancora un poco nel bosco dove il tempo si contrae e si dilata, distribuendo tane, dei ripari.
Io sto bene. So piangere di gioia nello stesso punto, violenta e sensuale, dove l'acqua scava sulla pietra, la sua lama affonda nelle viscere aprendo senza fine lampi di felicità
metti il dito dentro il solco quando vuoi scoprendo dove stilla questo amore come tace dove va, seguendo il cervo, nel vivo della carne, trasparente quando si rannicchia nella mano e muore ancora nel tuo cuore |
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